Antefatti

La settimana che va dal 25 aprile, Festa della Liberazione, al 1° maggio 1949, Festa dei Lavoratori, è forse una delle più decisive non solo nella storia del Torino, ma anche dell’intero movimento calcistico italiano.

Mancano quattro partite alla fine del campionato e la situazione in classifica è la seguente: Torino 51 punti, Inter 47, Milan 44 e poi staccate Genoa e Sampdoria appaiate a 39 punti. Il 1° maggio sarebbe dovuto andare in scena a San Siro l’attesissimo incontro-spareggio tra i padroni di casa dell’Inter e il Torino. Il condizionale è d’obbligo, perché il Torino aveva in programma martedì la lunga trasferta in Portogallo, dove avrebbe affrontato in amichevole il Benfica.

Proprio per venire incontro alle esigenze della squadra granata, la Federcalcio decise di anticipare il match a sabato 30 aprile Stessa sorte toccò alla partita Lazio – Milan: anche i rossoneri saranno impegnati in un’amichevole in terra iberica contro il Real Madrid, che non è ancora lo squadrone leggendario che diverrà tra un decennio; i blancos, infatti, avevano concluso la stagione precedente all’undicesimo posto, lottando fino all’ultimo per non retrocedere in Segunda. Il Grande Torino vuole sfruttare l’amichevole in Portogallo, oltre che per omaggiare il capitano Francisco Ferreira, anche per effettuare una sorta di test per il probabile impegno nella Coppa Latina, neocostituita manifestazione che si sarebbe tenuta a Madrid e Barcellona dal 26 giugno al 3 luglio 1949, tra le vincitrici dei quattro principali campionati latini d’Europa (la Serie A italiana, la Primera Division spagnola, la Primeira Divisão portoghese, la Division 1 francese). Il campionato italiano terminerà il 5 giugno, quindi per gli Invincibili si preannuncia un autentico tour de force di due mesi che si sarebbe di certo concluso con l’agognato (e meritato) debutto in una manifestazione europea ufficiale, che avrebbe probabilmente sancito con un trofeo quella che allora era considerata la più forte squadra del mondo, assieme agli argentini del River Plate. Proprio a causa del calendario fittissimo, il tecnico Egri-Erbstein, in comune accordo con il suo coach inglese Lievesley, nella settimana più decisiva della stagione decise di non torchiare i suoi campioni, limitando il programma di allenamento a qualche esercizio ginnico con Ossola e Fadini che in settimana si sono comunque “allenati” giocando con la Nazionale B. In casa Toro è quasi certa l’assenza di Maroso, che sarà ancora una volta surrogato da Martelli nel ruolo di terzino sinistro, mentre nella giornata di giovedì arriva una bruttissima tegola per tutto l’ambiente granata: capitan Valentino Mazzola è a letto con un forte mal di gola e non parteciperà al match più importante e decisivo della stagione. La società cerca di nascondere in un primo momento la notizia, ma ecco che alla vigilia del match il capitano granata viene dato per assente: Erbstein ha deciso che sarà l’oggetto misterioso Schubert a sostituirlo con la pesantissima maglia numero 10. Nell’ambiente interista l’attesa è invece piena di fiducia: i nerazzurri hanno svolto un po’ lezioni di tattica con il tecnico Giulio Cappelli e qualche esercizio atletico alla vigilia con il coach inglese Astley, con il rientro di Lorenzi (reduce da due giornate di squalifica a causa della sua proverbiale linguaccia) l’Inter è al completo e una sua vittoria non sembra così improbabile contro un Torino imbolsito e raffazzonato, privo dei suoi due autentici fuoriclasse (Maroso e Mazzola). Alla vigilia del match, nelle consuete dichiarazioni in preparazione della sfida, il tecnico granata Egri-Erbstein decide di accendere la miccia: “Il Torino ha il vantaggio di una migliore difesa, ma l’Inter sarà scatenata per la conquista di un successo che le apre grandi possibilità: tuttavia non dispero, specialmente se l’arbitro controllerà bene la partita”. L’astuto tecnico, scappato rocambolescamente alla Shoah, con queste dichiarazioni mette un po’ le mani avanti buttando una grandissima pressione all’arbitro dell’incontro, il signor Gemini: è evidente che in casa Torino l’ultimo arbitraggio di Bari non sia stato ancora digerito. Fra i nerazzurri parla Attilio Giovannini, il pilastro della difesa: “Siamo sicuri di giocare meglio a San Siro di quanto non ci sia riuscito di fare nel girone di andata a Torino”. Nella partita d’andata, terminata 4 a 2 per il Torino, la supremazia granata era stata netta, ma l’Inter con i suoi 22 punti conquistati nel girone di ritorno (tre in meno del Toro) è tra le formazioni più in forma del campionato. I nerazzurri possono vantare un attacco atomico con ben 73 gol segnati, sette in più del Torino fermo a 66 gol. I granata però hanno una fase difensiva migliore con soli 32 gol incassati al fronte delle 37 segnature subite dalla Beneamata. Gli ingredienti per una sfida spettacolare ci sono tutti. Il Torino parte verso Milano sabato mattina in pullman con il mitico Conte Rosso. Ben 17 sono i convocati: i portieri Valerio Bacigalupo e Dino Ballarin, il terzo portiere nonché fratello di Aldo che sostituisce l’infortunato Gandolfi, i difensori Aldo Ballarin, Mario Rigamonti, Piero Operto e Virgilio Maroso che, nonostante l’infortunio, vuole anche lui partecipare alla doppia trasferta, i centrocampisti Danilo Martelli, Giuseppe Grezar, Rubens Fadini, Eusebio Castigliano, Ezio Loik, Gyula (o Július) Schubert, gli attaccanti Romeo Menti, Guglielmo Gabetto, Franco Ossola, Émile Bongiorni e Roger Grava. Mancano quindi all’appello, oltre che il secondo portiere Gandolfi, l’infortunato di lunga data Sauro Tomà e capitan Valentino Mazzola. Questi tre giocatori quindi non solo salteranno lo scontro diretto contro l’Inter, ma dovrebbero saltare anche il viaggio in Portogallo…

Le due squadre

Sabato 30 aprile 1949, manca un’ora al fischio d’inizio e negli spogliatoi granata l’atmosfera è concitata: mentre Erbstein sta impartendo le ultime istruzioni in vista del grande appuntamento un uomo con un impermeabile, occhialoni da sole (quando la giornata era a dir poco grigia…), una faccia bianca come un cencio fa irruzione nello spogliatoio e tra lo stupore di tutti compare Valentino Mazzola, che è arrivato nel capoluogo lombardo con mezzi propri per stare vicino ai suoi compagni nell’ora della sfida decisiva. La “comparsa” improvvisa di Valentino Mazzola nel prepartita di Inter-Torino è un altro tema avvolto dal mistero: c’è chi dice che il capitano torinista non avesse voluto venire meno alla parola data all’amico Ferreira, altri invece affermano che Mazzola probabilmente voleva spegnere le voci di un suo possibile passaggio all’Inter a fine campionato o che fosse a Milano, la città della sua prima moglie, per cercare di risolvere la sua intricata situazione matrimoniale. Fatto sta che Mazzola si presenta a Milano di sua spontanea volontà ed in questo modo entrerà anche lui nella leggenda del calcio, assieme ai suoi compagni, alle 17:03 di quel maledetto 4 maggio 1949. Intanto nello Stadio di San Siro (che all’epoca aveva un solo anello di gradinate) non c’è il previsto sold-out, perché nell’industriosa Lombardia del dopoguerra il sabato veniva considerato una giornata lavorativa a tutti gli effetti. Inoltre, il tempo meteorologico non è dei migliori: in mattinata a Milano è piovuto, mentre nel primo pomeriggio un pallido sole ha incominciato a comparire tra le nuvole. Gli altoparlanti annunciano le formazioni delle due squadre, Torino: Bacigalupo; Ballarin, Martelli; Castigliano, Rigamonti, Fadini; Menti, Loik, Gabetto, Schubert, Ossola. Appena apprendono l’assenza dello spauracchio Mazzola (che qualcuno aveva avvistato allo stadio) dall’undici iniziale, i tifosi della Beneamata tirano un grossissimo sospiro di sollievo e iniziano a crederci sul serio: “Inter! Inter! Inter!” è l’urlo che inizia rimbombare a San Siro. L’Inter del presidente Carlo Masseroni, in cui come consigliere compariva già un giovanissimo avvocato Peppino Prisco, è una formazione decisamente a trazione posteriore che sembra già un’anticipazione delle formazioni italiane del decennio successivo che erano un connubio tra gregari e fuoriclasse disposti secondo un WM ortodosso. In porta c’è Franzosi, portiere basso e tarchiato cresciuto fin da adolescente in nerazzurro, è un classico portiere da Metodo molto bravo tra i pali e un po’ meno nelle uscite. Terzino destro gioca Guaita, pescato nel dopoguerra quasi per caso dal Vigevano (città di origine del presidente Masseroni), elemento duttile e combattivo, a sinistra invece Cappelli schiera Franco Pian, altro elemento di non notevole valore, che compone assieme a Pangaro ed un certo Enzo Bearzot una nutrita pattuglia di atleti isontini (tutti prelevati dalla Pro Gorizia) in maglia nerazzurra in quella stagione. Al centro della retroguardia, nel ruolo di mediocentro sistemista, gioca Attilio Giovannini, prelevato in estate dalla Lucchese, un difensore tosto e difficile da battere, che anni dopo si esalterà con il Catenaccio ideato da Alfredo Foni. Mediano destro, con la numero 4, gioca Fattori, ex enfant prodige del calcio italiano: nell’estate del 1946 la Sampdoria aveva sborsato la bellezza di 10 milioni al Vicenza per assicurarsi le sue prestazioni, ma, dopo un solo anno all’ombra della Lanterna, è passato in nerazzurro dove è diventato il regista “basso” del centrocampo della squadra. Al suo fianco, sul centrosinistra, troviamo Achilli, altro prodotto del settore giovanile nerazzurro. Soprannominato dai tifosi “gamb de seler” (gambe di sedano) per le sue gambe lunghe ed esili, è un mediano diligente e dal grande senso tattico. Mezzala destra gioca Benito Lorenzi, prelevato in estate dall’Empoli (già allora fucina di talenti), giocatore estroso, tecnico e imprevedibile dal proverbiale caratteraccio, già diventato un idolo della tifoseria interista. Al debutto nel grande calcio, “Veleno” ha già segnato dieci gol pur giocando di fatto fuori ruolo vista la presenza di due cannonieri scelti come Amadei e Nyers. Con la maglia numero 10, nel ruolo di mezzala sinistra c’è invece il capitano Campatelli, classe 1919, uno delle più grandi promesse del vivaio interista. Considerato l’erede nientepopodimeno che di Peppin Meazza, il “Campa” in realtà si è rivelato un discreto giocatore e nulla più, un “abatino” ante litteram, ovvero un giocatore di raffinata cifra tecnica, ma troppo lento e prevedibile nelle giocate, non a caso in carriera non ha mai trovato una collocazione tattica idonea (centravanti, mezzala, mediano). Nel tridente a destra gioca Armano, ala solida e concreta che “equilibra” una formazione estremamente offensiva. Prelevato in estate dall’Alessandria, Armano è più un cursore che un’ala classica (è infatti nato come mediano metodista), sarà il genio di Alfredo Foni a consacrarlo come la prima ala tornante della storia del calcio italiano nella stagione 1952/53. Il centravanti è Amedeo Amadei, acquistato in estate da una Roma in grande crisi economica per 15 milioni di Lire. Il Fornaretto di Frascati, artefice del primo scudetto romanista (nella stagione 1941/42) è un centravanti più lineare di Lorenzi come stile di gioco, ma egualmente concreto in zona gol (ben 21 i gol segnati). Chiude il tridente l’ala sinistra István Nyers, il vero fuoriclasse della squadra nerazzurra, un personaggio che ha una storia tutta da raccontare come molti atleti dell’Est Europa. Nato in Alsazia da genitori ungheresi e cresciuto a Subotica, città jugoslava al confine con l’Ungheria, nel 1946 viene privato della cittadinanza magiara per aver disertato il rientro a Budapest dopo un incontro con la Nazionale, salendo invece su un treno diretto a Praga. Divenuto apolide, viene notato durante un’amichevole a Vienna da un giovanissimo allenatore dello Stade Français, un andaluso nato a Buenos Aires e trasferitosi prima in Marocco e poi in Franca: Helenio Herrera il quale, qualche decennio più tardi, scriverà in caratteri dorati la storia interista. Nell’estate del 1948 “Le Grand Etienne” (così era conosciuto in Francia) diventa nerazzurro e a Milano trova clima ideale per le sue scorribande fuori dal campo, ma anche per grandi prestazioni sul rettangolo verde. Nyers, da ala mancina anche se di fatto con caratteristiche da seconda punta, ha già segnato la bellezza di 24 gol diventando subito capocannoniere del campionato. L’Inter è una squadra che schiera giocatori nati a Milano (Franzosi, Achilli, Campetelli) o in Lombardia (Guaita), provenienti da altre regioni italiane (Pian, Fattori, Giovannini, Armano, Lorenzi, Amadei) con un solo straniero (Nyers), per giunta apolide, nell’undici titolare.

L’arbitro dell’incontro è il signor Gemini di Roma che conduce le squadre a centrocampo nella classica prassi di inizio partita; in tribuna sventolano le bandiere ed un lungo applauso accompagna le due squadre. Guidano le due squadre i capitani Campatelli da una parte e Gabetto dall’altra con Ballarin che, come da consueto gesto scaramantico, stringe in mano il pallone della gara. Il terreno di gioco è soffice ed è quasi un biliardo con un po’ segatura buttata nelle due aree piccole per cercare di asciugare il fango, l’ideale per un big match. Fa decisamente freddo a Milano tanto che entrambe le compagini indossano la loro divisa invernale a maniche lunghe con i rispettivi color tradizionali. Sugli spalti 36 mila circa sono gli spettatori paganti (per un incasso di 27 milioni di Lire), una cifra modesta se si pensa che nel 1939 in occasione dell’amichevole tra Italia e Inghilterra a San Siro si registrarono la bellezza di 55 mila spettatori. In tribuna c’è un ospite d’eccezione: Fausto Coppi, tifosissimo del Torino.

Cronaca della gara

Primo tempo

Alle ore 16 il signor Gemini dà avvio alla battaglia. I primi attacchi sono del Torino ma si capisce presto che i granata non intendono scoprirsi troppo: fin dall’inizio il piano del Toro appare proprio quello di volersi difendere. Infatti, alla prima grande occasione, l’Inter rischia di passare in vantaggio: 6’ minuto Nyers serve Lorenzi che smarca Amadei per una sorta di rigore in movimento, la conclusione del Fornaretto è diretta proprio sotto il sette, ma Bacigalupo vola come un angelo togliendo la palla prima che bucasse la classica ragnatela posta nel punto di convergenza tra i due montanti; la prima sliding door della tragica epopea del Grande Torino è così servita! L’Inter insiste nella sua offensiva, all’11’ altro tiro verso il sette, questa volta da posizione più defilata da parte Lorenzi, Bacigalupo però con un altro volo d’angelo sbarra la sua porta. Si gioca di fatto ad una sola porta con l’Inter tutta protesa in attacco ed un Torino mai visto così annaspante: al 14’ Achilli fa spiovere un cross in area, c’è ancora Veleno Lorenzi in area che gira di testa il pallone verso la porta, ma Bacigalupo in tuffo dice ancora una volta di no, questa volta con una bloccata a terra. Egri-Erbstein nel tentativo di scuotere i suoi inverte le posizioni di Menti ed Ossola con i terzini Guaita e Pian che si scambiano anch’essi di fascia per “seguire” i loro uomini. Anche Cappelli risponde con la stessa mossa: sposta Nyers sulla destra dirottando Armano sulla sinistra e anche i terzini granata (Ballarin e Martelli) si spostano dalla loro fascia per continuare a marcare da vicino il loro avversario diretto. Al 24’ il Torino si fa vivo: Loik, che fino a quel momento era rimasto incollato davanti ai due mediani, avanza palla al piede e cerca di servire Ossola, Guaita intercetta la palla, ma incespica sulla sfera dando via libera all’ala sinistra granata il cui tiro a botta sicura fa la barba al palo destro della porta di Franzosi. Al 31’ l’Inter segna: Amadei fa filtrare una bella palla per Nyers il cui tiro batte Bacigalupo sul suo palo, l’apolide ungherese era però oltre la retroguardia granata, prontamente avanzata per il fuorigioco e Gemini correttamente annulla il punto. Al 37’ si rifà sotto il Torino: bello scambio tra il tridente d’attacco: da Ossola a Gabetto, che a sua volta serve l’incustodito Menti, spostatosi sulla sinistra, il cui tiro rasoterra sibila ancora una volta vicino al palo di destra della porta di Franzosi. Il finale del primo tempo è un momento favorevole al Torino: Schubert (impalpabile la sua prestazione) serve Loik che crossa al centro, Gabetto si libra in aria per la sua solita rovesciata, ma Giovannini lo anticipa di testa. All’ultimo secondo del primo atto Martelli a centrocampo commette un fallaccio in gamba tesa su Lorenzi, che con le regole più severe di oggi sarebbe stato da espulsione; negli Anni Quaranta falli del genere non venivano quasi sanzionati. Al duplice fischio di Gemini termina così un bellissimo primo tempo, terminato solo casualmente 0-0.

Secondo tempo

Dopo i classici dieci minuti di riposo tra un tempo e l’altro (oggi sono quindici…) rientrano in campo le due squadre e ancora una volta ad attaccare è la formazione di casa. Al 5’ bella combinazione tra Amadei, Lorenzi ed Armano, quest’ultimo serve a rimorchio ancora Amadei che spara un fendente forte, ma troppo centrale: Bacigalupo para in due tempi. All’8’ la difesa granata si fa trovare troppo “alta”: un’imbucata di Fattori scavalca infatti la retroguardia, ma Castigliano in spaccata riesce a soffiare la palla a Campatelli prima che il capitano nerazzurro s’involi verso la porta. Passano due minuti e Lorenzi semina il panico nella difesa del Torino: giunge davanti a Bacigalupo tallonato da Rigamonti e Martelli, ma un Baci in formato Superman gli toglie la sfera dai piedi con un’uscita a valanga, buttando a gambe all’aria sia Veleno che i suoi due compagni di squadra. Al 21’, altra imbucata nella retroguardia granata, questa volta di Armano, Amadei si invola verso la porta, ma Bacigalupo ancora una volta lo anticipa con un’altra uscita bassa temeraria. Da notare che l’ex centravanti della Roma cavallerescamente salta il portiere quando avrebbe potuto cercare il contatto per il rigore (una volta si faceva così…). Nel frattempo Erbstein decide di spostare l’inconsistente Schubert all’ala sinistra, arretrando Menti a mezzala, l’Inter invece continua a ruotare i suoi giocatori di punta, senza però venirne a capo. A metà del primo tempo finisce il periodo di massima pressione interista e si rivede in attacco la squadra granata: al 24’ su un cross dalla destra, la palla perviene a Castigliano, spostatosi in una delle rare occasioni in attacco, il mediano con una finta di corpo evita un giocatore nerazzurro e con un contromovimento calcia di sinistro in girata un bellissimo tiro che però esce a lato con Franzosi proteso in volo. Al 30’, su un angolo di Schubert, Loik svetta di testa, ma Franzosi, nonostante fosse coperto dai difensori, para in presa. Al 33’ arriva l’occasione più incredibile del match e capita al Torino: Schubert vince un duello con Guaita e prima che la palla esca sul fondo, il terzino nerazzurro pasticcia ancora scivolando a terra: l’ungherese avanza fino a fondo campo, poi centra un pallone ad Ossola con su scritto “spingi in gol”, l’ala sinistra però si ferma con tutta la porta spalancata dinanzi, convinto che l’arbitro Gemini avesse fischiato un fallo su Guaita, Giovannini così gli ruba il pallone, toccandolo al portiere Franzosi. L’Inter (ed il campionato) sono così salvi anche se la vittoria del Torino sarebbe stata alquanto ingiusta, visto l’andamento nel match. Negli ultimi dieci minuti non succede più niente perché entrambe le squadre sono stremate. Al triplice fischio dell’arbitro Gemini, che ha diretto la sfida in modo impeccabile, i giocatori e lo staff tecnico del Toro alzano le braccia al cielo e poi si uniscono a festeggiare in cerchio a centrocampo come se avessero ormai vinto il quinto scudetto consecutivo. Il calendario, a quattro giornate dalla fine, riserva ben tre partite casalinghe a Mazzola e compagni, per di più abbastanza abbordabili (Genoa, Palermo, Fiorentina) con una sola trasferta impegnativa a Genova contro la Sampdoria. Tenendo conto che il Torino non perde in campionato da ben diciassette domeniche consecutive ed al Filadelfia dal 17 gennaio 1943, le probabilità di vincita del tricolore sono praticamente certe. Stati d’animo completamente agli antipodi invece per i giocatori nerazzurri che al triplice fischio del direttore di gara vengono investiti da una salva di fischi da parte dell’esigentissimo pubblico meneghino che, evidentemente, non aveva gradito il pareggio ottenuto dagli uomini di Cappelli. Dalle tribune alcuni esagitati addirittura iniziano a lanciare i loro cuscini in segno di disapprovazione (la mamma degli imbecilli era sempre incinta anche negli Anni Quaranta!), questo fatto esecrabile causerà 50 mila lire di multa alla società presieduta da Masseroni.

Post-partita

Con questo sudato pareggio la trasferta di Lisbona è così cosa certa, i granata partiranno alla volta del Portogallo già domenica mattina con un volo da Linate. Tutta la comitiva granata presente a Milano parteciperà al viaggio in terra lusitana, compreso capitan Mazzola (ed è questa la vera grande notizia) che nella notte tra sabato e domenica ha visto sensibilmente migliorare le sue condizioni di salute e di certo non poteva mancare nella gara promessa all’amico Ferreira. Sarà questo l’ultimo viaggio di una delle formazioni più leggendarie della storia del calcio.

Francesco Scabar