Settembre 1992.

L’eco delle giornate olimpiche catalane risuona ancora in tutta la penisola iberica. Barcelona registrata da Freddie Mercury e Montserrat Caballé, la freccia scagliata da Antonio Rebollo ad accendere il braciere, le imprese del Dream Team di pallacanestro.

Un evento di portata storica che ha avuto il merito di rilanciare l’intera filiera dello sport iberico, finora rimasto troppo indietro rispetto al resto del mondo e troppo ancorato al passato.

Non fa eccezione la Selección, involuta sul piano del gioco e reduce da una serie di cocenti delusioni. La leggenda Luis Suárez, come commissario tecnico, non ha funzionato: un ruolo da comprimario ad Italia ’90 con tanto di eliminazione agli ottavi per mano della sottovalutata Iugoslavia e una sciagurata campagna di qualificazione ad Euro ’92.

In patria sono tutti concordi: manca la “furia”.

Serve un sergente di ferro, dunque. Un uomo temprato e pratico.

Il nuovo C.T.

Javier Clemente era considerato una grande promessa.

Aveva tutto: determinazione, corsa, tecnica e visione di gioco. Il popolo basco però, non fa in tempo a godersi il suo pupillo, perché Javier si distrugge un ginocchio durante uno scontro di gioco con Marañon. 23 novembre 1969. È il minuto 85′ della sfida di Campionato col Sabadell disputata su un campo infame e la sua carriera da calciatore finisce praticamente lì.

Si ricostruisce come allenatore, riversando la rabbia di basco ferito nei suoi giocatori e nelle sue squadre.

Il “suo” Athletic Bilbao è tutto un “patapúm y parriba” ovvero lanci lunghi, corsa, contrasti e falli assassini. Vince, ma divide. Più tardi resuscita l’Espanyol portandolo fino alla finale di Coppa UEFA 1987/88 e a Madrid, sponda Atletico, sfiora la vittoria della Liga 1990/91.

A quel punto la Federazione spagnola lo chiama. Chi meglio di lui per ridare verve a una squadra totalmente apatica?

La prima cosa che l’uomo di Barakaldo fa è ridisegnare le gerarchie. La Quinta del Buitre aveva in mano lo spogliatoio, ma aveva anche fatto il suo tempo e il leader della “sua” nazionale sarebbe diventato un catalano, che sta bruciando le tappe nel Barcellona.

Pep

Si chiama Guardiola, ha solo 21 anni, ma ha già vinto tutto. Non è veloce, è un normolineo e, anzi, pare quasi gracile per il calcio. Però vede. Vede tutto ciò che succede per tutto il campo.

Cruijff ha già capito. Una manciata di partite nel 1990/91 e poi l’investitura con tanto di consegna delle chiavi del centrocampo. E lui domina, totalmente. Vince la Liga sul filo di lana grazie al tonfo clamoroso del Real a Tenerife all’ultima giornata e alza al cielo la Coppa dei Campioni a Wembley, contro la Samp e con la 10 sulle spalle.

In estate trionfa a casa sua vincendo l’oro Olimpico a cui aggiunge in autunno pure la Supercoppa di Spagna.

L’impressione è quella di trovarsi davanti a un predestinato. Pare avere la puzza sotto il naso, ma è solo maniacale attenzione a tutto ciò che gli accade intorno. Parla da leader e non dice una parola fuori posto. Esordisce in nazionale contro l’Irlanda del Nord, subentrando a Claudio Barragan nello scialbo 0-0 di Windsor Park.

Sono le qualificazioni al Mondiale 1994 e quella Spagna è già spalle al muro. Nella clessidra della Roja resta poca sabbia e Clemente lo getta nella mischia in una sfida già decisiva, nonostante tre giorni prima abbia giocato – e perso – in Giappone la finale dell’Intercontinentale.

Il match

A Siviglia arriva la Lettonia.

I baltici muovono i loro primi timidi passi dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Sono modesti ed inesperti, ma han saputo pareggiare con la Danimarca e con la stessa Spagna tre mesi prima, a Riga, in casa.

Soldi ce ne son pochi, tanto che si rifiutano di alloggiare nell’albergo che la Federazione spagnola aveva loro riservato perché troppo caro.

26mila pesatas per una camera doppia in pensione completa? Non se ne parla nemmeno!

Corre in loro soccorso Rinat Dasaev, ex portiere del Siviglia e vera e propria istituzione anche in Andalusia. Lui lo spagnolo lo mastica e riesce a spuntare il prezzo di 3mila pesetas al giorno per una sistemazione a quattro stelle.

«Hai visto cosa vuol dire sapere le lingue?» riflette compiaciuto il gigantesco attaccante Bulders appena passato al Charlton, in Inghilterra.

Piccolo particolare: nel prezzo è compresa solo la prima colazione mentre per gli altri pasti c’è da pagare un sostanzioso supplemento… alla fine saranno 22mila pesetas a notte.

Sembra il remake spagnolo di una scena Fantozziana, ma è tutto vero.

Il tecnico lettone Janis Gillis, come logico, punta le poche fiches a disposizione sulla difesa. Niente distrazioni, serate o visite alla Giralda, ma ripetizione fino alla nausea dei movimenti: dopotutto l’avversario è in difficoltà.

Nonostante la temperatura gradevole infatti, il clima attorno alla nazionale iberica è tremendamente ostile tanto che il Ramon Sanchez Pizjuan è semivuoto e lo scetticismo da parte degli addetti ai lavori è alle stelle. Il vero sussulto da parte dei tifosi locali viene provato nel vedere i baltici uscire dagli spogliatoi con la maglia del Siviglia, per evitare di far confusione con i colori delle Furie Rosse.

La Roja ha paura, non segna da quattro partite e il terreno soffice a causa della pioggia caduta abbondante nei giorni scorsi rende tutto dannatamente più complicato.

spagna-lettonia                spagna-lettonia

Il primo tempo è inguardabile. Due sole opportunità create dai padroni di casa e sprecate da Claudio Barragan ed un brivido per un contropiede di Astafjevs sventato da Zubizarreta.

Negli spogliatori Clemente deve aver fatto volare di tutto perché quella che entra in campo nella ripresa è un’altra Spagna. Una volée di Bakero al 48′ rianima il pubblico, ma è quanto accade due minuti più tardi che lascia intravedere il punto di svolta.

Da azione d’angolo, sulla sinistra ne scaturisce un batti e ribatti fuori area con palla che arriva al numero 6. Solitamente quel pallone si stoppa e si calcia di collo. Lui, lucido e maturo, no. Legge la situazione e lascia partire dai 25 metri un piattone angolato ed imparabile. Il Pizjuan esplode in un boato liberatorio.

La Spagna dilaga, stretta finalmente attorno ad un commissario tecnico e liberata dai fantasmi di un ennesimo fallimento. Il numero 6 invece riflette appartato, come al solito, osservando silenzioso e facendosi mille domande.

Le risposte che troverà più avanti e cambieranno il mondo del calcio.

Il tabellino di Spagna-Lettonia

PILLOLE STATISTICHE DI SOCCERDATA

  • Quarta vittoria casalinga nella storia della Spagna con il punteggio di 5-0;
  • Tre di queste quattro vittorie sono state ottenute a Siviglia;
  • Due le vittorie per 5-0 riportate fino a quel momento dalla Spagna in trasferta: in Irlanda nel 1931 e in Belgio nel 1957;
  • Non è presente fra i titolari neanche un giocatore del Real Madrid