Il movimento calcistico europeo maggiormente influenzato dalla scuola danubiana è stato quello italiano.

Gli allenatori provenienti dalla Mitteleuropa (soprattutto Ungheria e Austria) hanno avuto un peso incredibile nello sviluppo del calcio italiano tra la metà degli anni Venti ed i primi anni Sessanta, da un lato anticipando di circa trent’anni la nascita del calcio totale e dall’altro, per il loro innato pragmatismo, ponendo le basi per la nascita del calcio all’italiana.

La scuola ungherese in Italia fu quella egemone: tra il 1920 ed il 1945 ben 60 furono i tecnici ungheresi attivi nel nostro calcio, di cui 29 nella massima serie.

Per fare un raffronto, nello stesso periodo, nella massima serie hanno allenato solamente sei tecnici provenienti dall’Austria, nessuno invece dalla Cecoslovacchia.

Weisz e Erbstein

Tra i tecnici magiari possiamo ricordare due personaggi, protagonisti indiscussi negli anni Trenta e Quaranta e che, oltre che per le loro origini (erano entrambi di origine ebraica), sono stati accomunati da un tragico destino: parliamo di Árpád Weisz ed Ernő Egri Erbstein.

Il nome di Weisz è legato soprattutto all’Ambrosiana Inter e al Bologna, squadre con le quali vinse tre scudetti (uno con i nerazzurri, due con i rossoblù) oltre che il Torneo Internazionale dell’Expo Universale di Parigi nel 1937 (una sorta di Champions League “istantanea”).

Weisz era un allenatore che di base usava il Metodo anche se con molte chiavi di letture sistemiste (come i terzini che tendevano a restare larghi, le mezzali arretrate) come si può evincere dal suo manuale Il Giuoco del Calcio, scritto nel 1930 assieme ad Aldo Molinari.

Nel 1938 Weisz fu costretto ad abbandonare l’Italia a causa delle note leggi razziali e morì il 31 gennaio 1944 in una camera a gas del campo di concentramento di Auschwitz.

È tragica anche la storia di Ernő Egri-Erbstein, tecnico ungherese di origini israelite attivo in Italia fin dal 1928 che ha costruito il miracolo sportivo della Lucchese (dalla Serie C all’ottavo posto in Serie A nel giro di tre stagioni) e soprattutto il Grande Torino, squadra di cui fu il Direttore Tecnico dal 1946 alla Tragedia di Superga del 4 maggio 1949.

Le abilità di Erbstein riguardavano il suo particolare rapporto, estremamente umano e paterno con i suoi giocatori, la sua preparazione fisica all’avanguardia (fu uno dei primi a introdurre in Italia il riscaldamento) e soprattutto il gioco corale che faceva imprimere alle sue squadre. Nei suoi avanguardistici schemi di gioco le mezzali spesso si scambiavano di posizione con i mediani sia con lo schema di gioco metodista (utilizzato con la Lucchese) che con quello sistemista (adoperato al Torino).

Questa strategia fu ulteriormente affinata nel Grande Torino dove Erbstein poteva contare su un formidabile quadrilatero di centrocampo (Grezar-Casigliano-Loik-Mazzola) e su due terzini di spiccata propulsione come Ballarin e Maroso.

Erbstein

Schaffer e Czeizler

Altri tecnici ungheresi che hanno lasciato tracce indelebili nel nostro calcio sono Alfréd Schaffer (anche se di etnia tedesca) e Lajos Czeizler.

Schaffer conquistò uno storico Scudetto con la Roma nella stagione 1941/42 utilizzando lo schema metodista: la squadra giallorossa è stata infatti l’ultima formazione a vincere un Campionato utilizzando il vecchio modulo a W. Anche Schaffer ebbe una fine tragica in quanto morì nel 1945 in un vagone ferroviario in circostanze misteriose.

Czeizler invece è stato un maestro in Svezia negli anni Quaranta dove vinse cinque campionati alla guida del Norrköping. In Italia “Zio Lajos”, soprannominato in questo modo da Gianni Brera per il suo carattere bonario, vinse uno Scudetto con il Milan nel 1950/51 divenendo anche C.T. della Nazionale nel 1953/54 senza tuttavia ottenere molti consensi per la sua riluttanza a dare una chiara impronta tattica alle proprie squadre.

Secondo Czeizler, infatti, l’allenatore doveva limitarsi a schierare in campo più giocatori di qualità possibile e dare loro la massima libertà di azione senza nessun vincolo tattico.

Felsner e Cargnelli

Pochi, ma significativi, i tecnici austriaci che hanno lasciato un’impronta nella nostra penisola.

Il primo nome è quello del dottor Hermann Felsner. Giunse in Italia nel 1920 da semisconosciuto istruttore di ginnastica laureato in giurisprudenza, dopo che il Bologna aveva pubblicato un annuncio sul giornale.

In tre lustri (dal 1920 al 1931 e dal 1938 al 1942) il tecnico viennese vinse la bellezza di quattro campionati (1924-1925, 1928-1929, 1938-1939, 1940-1941) ponendo le basi e chiudendo il cerchio del mitico “Squadrone che tremare il mondo fa”.

Felsner giocava con un Metodo abbastanza classico in cui lo schema più conosciuto era il retropassaggio dell’ala per il cross dell’accorrente mediano, una sorta di precursore del gioco “a catena” sulle fasce.

L’altro nome importante è quello di Anton “Toni” Cargnelli, viennese ma di chiare origini friulane, che vinse uno scudetto con il Torino nel 1927/28 e con l’Ambrosiana-Inter nel 1943/40.

Cargnelli, altro metodista convinto, fu uno degli ultimi tecnici a giocare con il Metodo nella stagione 1948/49 quando era allenatore del Bologna.

cargnelli

Oggi

L’ultimo esemplare ancora attivo in Italia è il boemo Zdeněk Zeman, anche se il suo è un calcio influenzato maggiormente dalla scuola collettivista dell’Est Europa soprattutto per la rigidità del suo 4-3-3.

Lo schematismo delle trame gioco e la presenza di attaccanti estremamente rapidi e dinamici nelle movenze, stridono però con i giocatori flemmatici e compassati nel settore avanzato tipici del calcio danubiano.

Francesco Scabar