Antefatti
Nella mattinata di domenica 1° maggio 1949 i giocatori e lo staff tecnico del Grande Torino si svegliano con più di mezzo scudetto in tasca. Le fatiche, però, non sono terminate perché la comitiva fra poche ore dovrà prendere l’aereo per Lisbona. Partecipano alla “gita” lusitana anche i giornalisti Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport), Renato Tosatti (della Gazzetta del Popolo, il padre di Giorgio) e Luigi Cavallero (La Stampa), che è stato scelto personalmente dal presidente Novo (bloccato a Torino da una broncopolmonite) al posto di Vittorio Pozzo, con cui è ai ferri corti, dopo il noto avvicendamento alla guida della Nazionale. I rapporti tra Novo e Pozzo sono talmente scaduti che il pluridecorato ex C.T. della nazionale negli ultimi mesi è stato accreditato a diventare addirittura Direttore Tecnico della Juventus: con questo ruolo Pozzo farebbe da “chioccia” a Leslie Lievesley (con cui aveva già collaborato nell’ultimo periodo in Nazionale), il cui passaggio dal Torino alla Juventus era già stato definito. Al viaggio avrebbe dovuto partecipare anche Nicolò Carosio, che, però, declina l’invito a causa della cresima del figlioletto. Completano la comitiva granata, oltre ai diciotto giocatori, i due tecnici ed il massaggiatore Osvaldo Cortina, i dirigenti accompagnatori Egidio Agnisetta e Ippolito Civalleri e, infine, Andrea Bonaiuti, colui che aveva organizzato la trasferta. Il viaggio in aereo, da Linate a Lisbona sul trimotore Fiat G.212, non è comodissimo: Luigi Cavallero su La Stampa parla di “viaggio periglioso, tra raffiche di vento e ondate di pioviggini”. Inoltre, era previsto anche uno scalo a Barcellona, dove la comitiva incrocia quella del Milan, diretta a Madrid per disputare a sua volta un’amichevole contro il Real, prevista per il 4 maggio. Alcuni dirigenti dell’Espanyol si presentano all’aeroporto e propongono al Direttore Sportivo rossonero Toni Busini di organizzare in data 5 maggio un’amichevole Torino-Milan a Barcellona: il dirigente granata Agnisetta, però, rifiuta la proposta. Alle 17 il Torino atterra finalmente nella capitale portoghese. Il Portogallo dal 1932 è stretto nella morsa repressiva della dittatura clerico-fascista di António de Oliveira Salazar: a Lisbona si vive un clima freddo e austero, non dissimile a quello della Madrid franchista, che i giocatori nazionali del Grande Torino hanno “respirato” ad aprile, durante la loro ultima trasferta in maglia azzurra. L’intero gruppo viene ricevuto all’aeroporto con il massimo degli onori dai dirigenti del Benfica e dal capitano Ferreira, che si reca di persona a salutare i suoi amici italiani. Dopodiché, la comitiva torinista si reca a visitare lo stadio Estadio Nacional do Jamor: in questa bellissima struttura a ferro di cavallo, interamente ricoperta di marmo e con un prato inglese da fare invidia a Wembley, i granata saranno protagonisti due giorni dopo per l’incontro amichevole organizzato come “tributo” per capitan Ferreira che qualche giorno prima, il 29 aprile, aveva precisato sulle colonne del Mundo Desportivo che quella contro il Torino non si trattava di una partita d’addio, ma di un semplice omaggio: “Homenagem, sim! Despedida, não!”. Quella dell’“homenagem” era una pratica molto diffusa in quegli anni, specialmente in Portogallo: in un calcio ancora di natura semiprofessionistica, quando un calciatore era all’apice della sua carriera, lo si omaggiava con un incontro amichevole per garantirgli un lauto incasso che, dopo qualche anno, sarebbe diventata la sua “pensione”. Ferreira, per inciso, si ritirerà dal calcio appena nel 1952, all’età di 33 anni. In serata il Torino si stabilisce al Parque Hotel Estoril, una struttura di lusso con tanto di spiaggia, terme e piscina situata a circa 20 km dalla capitale; al tecnico Egri-Erbstein spetta la procedura di assegnazione delle camere, la serata scorre via così tranquilla senza eccessi di sorta: la stanchezza del viaggio si è fatta decisamente sentire. Lunedì 2 maggio il Torino è atteso in mattinata da quello che sarà l’ultimo allenamento degli Invincibili, diretto dal duo Erbstein-Lievesley allo stadio Paraya di Estoril, poi il Grande Torino viene ricevuto in pompa magna al municipio della capitale. La stampa sportiva portoghese presenta il Torino con il massimo rispetto possibile: sempre sul Mundo Desportivo del 29 aprile si può leggere che mentre le squadre portoghesi hanno recepito il WM inglese come uno schema di gioco prettamente difensivo ed ostruzionistico, il Torino invece ha mostrato come questo sistema di gioco possa essere utilizzato per giocare un calcio offensivo, fatto di velocità, azione continua, strapotere atletico, tutti concetti che le squadre portoghesi ancora si sognano. Sempre sullo stesso giornale si può leggere che Mazzola viene reputato il più famoso giocatore italiano, anche se quello più forte in realtà il terzino sinistro Maroso, descritto dai cronisti portoghesi come un autentico “craque”. Martedì 3 maggio 1949, è il giorno della partita: la comitiva granata si rilassa in mattinata nel suo bellissimo albergo poi nel primo pomeriggio inizia il lento tragitto verso L’Estadio Nacional. Nell’immenso stadio della capitale ci sono ben 40 mila spettatori (l’impianto ne può tenere ben 80 mila) con le autorità che danno la caccia ai numerosi spettatori “portoghesi” (in tutti i sensi!) che affollano le colline circostanti allo stadio.
Le due squadre
Alle ore 18 entrano in campo le due squadre, guidate dall’arbitro inglese Pearce e dai due guardalinee portoghesi Gameiro Pereira e Rodrigues dos Santos. Il Torino è nella sua classica (e bellissima) divisa estiva: maglia granata, colletto bianco e scudo tricolore sul petto, calzoncini bianchi e calzettoni granata. Il Benfica invece si veste con una maglia tutta bianca in stile camicia con un grande colletto e le maniche rimboccate, calzoncini bianchi e calzettoni rossi. Il Torino schiera la sua miglior formazione fra i disponibili del momento, col rientro di Grezar in mediana e nonostante Mazzola sia ancora febbricitante: Bacigalupo; Ballarin, Martelli; Grezar, Rigamonti, Castigliano; Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. La tattica di gioco è ovviamente il WM, schieramento in cui i granata ormai sono maestri. Il Benfica, allenato dall’inglese Ted Smith, risponde con uno schieramento speculare: Contreiras è il portiere, che per tutto l’anno si è alternato tra i pali con Pinto Machado. Sulla fascia destra gioca Jacinto Marques, un autentico colosso di un metro e ottantadue, marcatore tosto e regolare, autentica bandiera delle Aquile con ben 202 presenze tra il 1943 ed il 1957. Sulla fascia sinistra gioca Joaquim Fernandes, ventitreenne prodotto del settore giovanile, altro terzino dal grande temperamento, ma dai piedi altrettanto ruvidi. Al centro della retroguardia gioca, nel ruolo di stopper sistemista, Felix, uno dei giocatori più talentuosi della squadra portoghese. È infatti un difensore dai piedi raffinati e dalla grande visione di gioco, uno dei primi stopper portoghesi ad uscire palla al piede dalla difesa: sarà il modello su cui si ispirerà Germano, grande difensore centrale del Benfica di Béla Guttmann. Mediani bassi del quadrilatero sono i due Francisco, Moreira a destra e Ferreira a sinistra. Sono i giocatori più anziani della squadra: il primo ha ben 34 primavere, il secondo “solo” trenta. Moreira, a causa della sua età non proprio più verde, viene chiamato dai suoi compagni di squadra “Pai Natal” (Babbo Natale), è un mediano dai mezzi tecnici limitati, ma dalla volontà di ferro e, come il buon vino portoghese, è migliorato invecchiando. Anche il suo partner “Xico” Ferreira, cresciuto nei rivali del Porto, è un giocatore tutto grinta e cuore, il classico mediano settepolmoni, che corre a perdifiato dal primo al novantesimo. Nel 1945 era stato vicino a trasferirsi al Real Madrid, mentre in Italia voci di mercato lo danno addirittura in procinto a diventare un giocatore del Torino: il presidente Ferruccio Novo era infatti rimasto impressionato dalla sua tempra agonistica mostrata nell’amichevole di Genova. La coppia di mezzali è composta da Arsénio, un tracagnotto alto un metro e settanta dalla corsa inesauribile che nella vita di tutti i giorni fa l’operaio e da Melão, un oriundo angolano che è considerato il regista dell’attacco biancorosso. Il tridente infine è composto dalle ali Corona e Rogério e dal centravanti Espiríto Santo, il secondo coloured del Benfica. Eduardo José Corona che con i suoi 15 gol è il capocannoniere della squadra in campionato, che il Benfica ha chiuso al secondo posto dietro ai rivali dello Sporting Lisbona. Rogerio detto Pipi, ala ambidestra, invece è tornato al Benfica in questa stagione dopo un’annata (non proprio pregna di fortune) trascorsa al Botafogo, in Brasile. Espiríto Santo, infine, originario di São Tomé, nel 1937 è stato il primo calciatore di colore a vestire la maglia della nazionale lusitana. Per l’occasione il tecnico inglese Smith ha portato tre riserve che, secondo gli accordi pattuiti alla vigilia, potranno entrare durante la gara: il portiere di riserva Pinto Machado e gli attaccanti Vitor Baptista e Julio. Sugli spalti, oltre ai giocatori dello Sporting Lisbona, che diventeranno i futuri avversari del Torino in Coppa Latina, c’è l’ex re Umberto, in esilio in Portogallo.
Cronaca della gara
Primo tempo
Al fischio d’inizio di Pearce il pallone è del Torino che inizia all’attacco con il suo classico gioco, mandando in visibilio il pubblico portoghese, non abituato a certe raffinatezze. Al 4’ Loik serve Mazzola, il capitano evita Contreiras in uscita, ma poi calcia malamente a lato il pallone del possibile vantaggio. All 8’ il Torino passa con merito: Grezar interrompe un attacco avversario e poi lancia in verticale Menti, l’ala destra serve in rapidità Gabetto che vede con la coda dell’occhio l’amico Ossola smarcato sul secondo palo, il tiro dell’ala sinistra granata da pochi passi non lascia scampo al portiere lusitano. Dopo il vantaggio il Torino rallenta, mentre il Benfica, squadra modesta dal punto di vista tecnico, ma ben preparata fisicamente dal suo tecnico inglese, inizia ad affacciarsi nella metà campo granata. Al 10’ il centravanti Espiríto Santo ha una buona opportunità da pochi passi, ma Bacigalupo gli risponde da campione. Cinque minuti più tardi avviene l’episodio che cambia il corso della gara: Gabetto, infatti, viene azzoppato in uno scontro con un avversario, Erbstein però, inspiegabilmente, non lo sostituisce subito con Bongiorni, ma si limita a spostare il Barone all’ala sinistra con Ossola che diventa centravanti. Ridotto di fatto in dieci uomini il Torino subisce il forcing della squadra di casa che al 23’ pareggia con Melão, bravo a sfruttare al meglio una bella imbeccata di Corona. Al 27’, finalmente, i tecnici granata capiscono di non poter giocare oltre in dieci uomini e sostituiscono Gabetto con Bongiorni: il francese viene piazzato al centro dell’attacco con Ossola che ritorna nel suo ruolo naturale di ala sinistra. Il Torino riprende ad attaccare con insistenza con tutti i suoi effettivi, chiudendo il Benfica nella sua area di rigore, al 33’ però, su un rapido contropiede, il Benfica si porta in vantaggio: ennesima fuga sulla destra di Corona, e cross al bacio per la testa del piccoletto Arsénio che sorprende la difesa granata e batte imparabilmente Bacigalupo. I tifosi di casa sono in visibilio e quasi non credono ai propri occhi. Ancora Benfica in avanti e altra grande parata di Bacigalupo, il portiere granata per l’ennesima volta si conferma in formissima. Al 37’ il Torino pareggia dopo un bello scambio tra Menti e Bongiorni, con il centravanti transalpino che batte Contreiras. Due minuti più tardi, però, Melão si aggiusta il pallone con il braccio e da pochi passi fulmina Bacigalupo: ancora una volta la retroguardia torinista è parsa decisamente svagata. Il Torino chiude il primo tempo all’arrembaggio, anche se la reazione dei campionissimi frutta solo due calci d’angolo.
Secondo tempo
La ripresa si apre all’insegna di una girandola di cambi, fatto inconsueto nel calcio dell’epoca. Nel Torino Fadini sostituisce Castigliano in mediana mentre il Benfica cambia il portiere Contreiras con Pinto Machado ed Espiríto Santo con Julio. Dopo qualche minuto, però, quest’ultimo si infortuna ed entra Vitor Baptista, che viene schierato all’ala destra con Corona che diventa centravanti. Dopo circa venti minuti in cui le due squadre sostanzialmente si annullano, al 24’ Bongiorni ha l’opportunità di pareggiare, ma da pochi passi calcia debolmente su Pinto Machado. Un minuto dopo Vitor Baptista calcia un fendente angolato, ma Bacigalupo risponde ancora una volta con una parata in tuffo da fuoriclasse. Poi è ancora la volta di Mazzola che, tutto solo davanti al portiere avversario, calcia incredibilmente addosso al neoentrato guardiano del Benfica: il capitano davvero non sta bene! Al 39’ il Benfica segna la quarta rete: sugli sviluppi di un’azione elaborata la palla perviene a Rogério, la difesa granata si ferma con il braccio alzato pensando di aver messo l’attaccante avversario in fuorigioco, Pipi invece galoppa solo soletto verso Bacigalupo, evita il portiere in uscita e deposita il pallone in rete, 4-2. L’arbitro inglese pensa in un primo momento di annullare il punto perché le proteste dei giocatori torinisti sono veementi, poi si consulta con uno dei due segnalinee, il quale indica con la bandierina il centro del campo: la rete del 4-2 viene così confermata. Il Torino non ci sta ad uscire sconfitto e al 43’ Mazzola, dopo un’azione irresistibile, viene travolto in area da Felix, il rigore è nettissimo tanto che nessuno protesta. Sul dischetto si presenta lo specialista Menti, che realizza facilmente. I 22 giocatori in campo ed i 43.000 spettatori sulle tribune non sanno che questo è stato, purtroppo, l’ultimo gol realizzato da una squadra che un solo giorno più tardi sarà Mito. C’è solo il tempo per un’ultima uscita bassa del portiere Pinto Machado sui piedi di Bongiorni e al fischio finale dell’arbitro Pearce i giocatori del Benfica esultano come se avessero vinto l’incontro della vita, mentre i giocatori del Torino, provati da una stagione impegnativa, dal lungo viaggio e per la partita stessa, escono esausti. Con questo successo i padroni di casa si aggiudicano la “Coppa Olivetti”, un trofeo messo a disposizione per l’occasione dagli stabilimenti SIDA, che rappresentavano la Olivetti in terra lusitana.
Post-partita
Nonostante sul campo l’incontro sia stato molto combattuto, nel dopo gara l’atmosfera è assai cordiale e rilassata. Il Benfica ha infatti in programma di offrire una cena luculliana a tutta la comitiva granata al ristorante Alvalade di Lisbona, uno dei più lussuosi della capitale. I giocatori del Torino e del Benfica che cenano fianco a fianco sono i ritratti delle ultime istantanee del Grande Torino. Il giorno successivo, il 4 maggio 1949, è quello del fatidico viaggio di ritorno. Alle 9:52 il trimotore Fiat G.212 lascia la capitale portoghese e alle 13:15 atterra a Barcellona per fare rifornimento. Dopo trequarti d’ora di pausa alle 14:00 riprende il viaggio aereo con destinazione Milano Linate, dove c’è il Conte Rosso ad attendere giocatori e staff granata. In Liguria il tempo metereologico incomincia a peggiorare sensibilmente e questo fatto induce qualcuno della comitiva a pensare ad un cambio di rotta. Al pilota Pierluigi Meroni (quasi omonimo, ma nemmeno lontano parente di Gigi Meroni, altro personaggio granata dal tragico destino) viene così chiesto di atterrare all’aeroporto Torino-Aeritalia. Il cambio di destinazione, però, non si rivela una scelta felice: in Piemonte le condizioni meteo sono addirittura peggiori, con densa nebbia, pioggia battente e forti raffiche di Libeccio. Non dovrebbe essere però un problema per l’equipaggio capitanato da Meroni, un pilota che è addestrato per condurre l’aereo in tali condizioni atmosferiche. Alle 16:55 il controllore del traffico dell’aeroporto di Aeritalia comunica ai piloti la situazione meteo: nubi quasi a contatto col suolo, rovesci di pioggia, forte libeccio con raffiche, visibilità sui 40 metri, cielo invisibile a Superga. La torre di controllo chiede anche un riporto di posizione. Dopo qualche minuto di silenzio alle 16:59 arriva la risposta di Meroni: “Quota 2.000 metri. QDM su Pino, poi tagliamo su Superga”. L’equipaggio infatti sta procedendo verso il radiofaro di Pino Torinese, che si trova tra Chieri e Baldissero Torinese, a sud est di Torino. Poco più a nord di Pino Torinese c’è il colle di Superga con l’omonima basilica a 669 metri sul livello de mare, è probabile che durante la virata l’altimetro si sia bloccato sui 2.000 metri: i piloti probabilmente credevano di volare a tale quota quando invece erano a nemmeno 600 metri dal suolo. Alle 17:02 l’equipaggio chiama per l’ultima volta la torre di controllo, l’angolo di approccio alla pista viene confermato sui 285°, il marconista e il Comandante Meroni si scambiano un reciproco saluto, poi cala il silenzio. Ore 17:03: l’aereo, esegue la virata verso sinistra e inizia la manovra per l’avvicinamento, schiantandosi però ad una velocità 180 km/h, sul terrapieno della Basilica di Superga. Molto probabilmente il pilota non ha fatto in tempo ad accorgersi del fatto, perché dai resti non è stato riscontrato nessun tentativo di virata. Le 31 persone a bordo dell’aereo muoiono così all’istante senza essersi accorte di nulla. Alle 17:05 la torre cerca di mettersi in contatto con il volo, ma riceve solo un lungo silenzio come risposta. Don Tancredi Ricca, il cappellano della Basilica di Superga, a quell’ora si trova nel suo studio quando sente un boato fragoroso proveniente da vicino. Un muratore, Amilcare Rocco, abita vicino al terrapieno. Appena udito quel rumore così forte e sinistro esce di casa e trova i resti di una carlinga avvolta nel fumo. La seconda persona che accorre sul luogo del disastro è Don Ricca, che è il primo ad accorgersi che quello era proprio l’aereo che trasportava i giocatori del Torino. Spetterà all’ex C.T. Vittorio Pozzo, subito chiamato sul luogo, il compito straziante di riconoscere uno per uno i cadaveri di coloro che lui chiamava “i miei ragazzi”. La più grande tragedia sportiva della storia del calcio (e probabilmente dello sport in generale) è così compiuta con il Grande Torino che entra definitivamente nella Leggenda, per sempre.
Francesco Scabar